Rivella di Monselice Attribuita a Vincenzo Scamozzi, la cinquecentesca Villa Emo sorge ai piedi dei Colli Euganei non lontano da Monselice. Il giardino che la circonda è classicamente all'italiana. Esso unisce a elementi tipicamente veneto-rinascimentali, quali la carpineta, il brolo e le peschiere, una straordinaria quantità e varietà di fiori. La vicenda storica della Villa è, più che in altri casi, strettamente legata alla storia della famiglia Emo. Prima del 1535, il patrizio veneziano Leonardo Emo, conoscitore ed estimatore di queste terre di pianura, deciso a ritirarsi dal suo servizio allo stato, acquista da Andrea Barbarigo il fondo di Fanzolo, pari a 80 campi trevigiani. Qui decide di dedicarsi attivamente alla coltivazione e all'allevamento, promuovendo la bonifica delle terre, il rinnovamento delle colture, l'impianto di molini e filande. L'intervento del nobiluomo Emo nella pianificazione e gestione del territorio portò notevoli migliorie nella conduzione del lavoro dei campi, anche se in alcuni casi non dell'entità sperata. La prima preoccupazione, nell'ottica di una pratica agricola rigorosamente pianificata, fu quella di organizzare il regime della acque, abbondanti e diffuse nei campi della proprietà, per bagnare le terre e abbeverare il bestiame. A questo scopo ottenne nel 1536 la concessione per la "seriola" Barbariga, canale irriguo della Brentella. Il sistema di canali organizzato nel XVI secolo, che diede una prima forma all'organizzazione di terreni e dei fabbricati, è tuttora presente e chiaramente leggibile sui terreni di proprietà della Villa. Il cambiamento più innovativo che segnò la successiva storia del territorio, dell'economia, della società fu l'introduzione della coltura del mais al posto del pastone di saggina, detto "sorgo rosso", che fino ad allora era stato alla base del misero regime alimentare della popolazione locale, che accolse con esultanza l'arrivo di chi contribuiva al miglioramento del "desco". Rimane testimonianza di questo passaggio storico nella decorazione delle sale della Villa, tutta ispirata a motivi agrari: un ciuffo di pannocchie costituisce il motivo ornamentale dei festoni decorativi. Una volta organizzato il regime del suolo, Leonardo Emo, profondamente legato a questa terra e al suo progetto, decide di volerci anche abitare. Non riuscirà a realizzare il suo progetto in quanto muore nel 1539, e a rendere concreto questo sogno ci penserà il nipote omonimo suo erede. Demolita la Villa Barbarigo esistente, Leonardo Jr si rivolge al più accreditato architetto dell'epoca, che gli garantisca un progetto architettonico adeguato ai suoi intenti. Non si conoscono esattamente le relazioni esistenti tra Leonardo Emo e il Palladio ma è certo che l'operazione di progettazione e costruzione della Villa furono per il nobiluomo un'avventura particolarmente stimolante e impegnativa, informata al principio umanista secondo cui "dall'intelligenza (dell'architettura) nasceva il diletto e il piacevol spendere". Probabili ascendenze di questo progetto si possono riconoscere nel palazzo Soranzo a Castelfranco, di Michele Sanmicheli, e nel villino Cornaro a S.Andrea oltre il Muson, entrambe di poco antecedenti, che in qualche misura hanno influenzato committente e architetto, in relazione alla filosofia del progetto e al suo linguaggio. Negli esiti progettuali della Villa si sente ovunque la personalità del committente, che chiede all'architetto risposte precise alle esigenze di una fabbrica di campagna, che sia al contempo esemplare azienda agricola e granaio per la propria casa. Si realizza così una dimora che si apre completamente alla campagna, uno dei messaggi più aperti del Palladio, semplice e solenne, evocazione suggestiva di un'immagine classica, straordinariamente attuale per la vita di ogni giorno di chi lavora e produce, con la fatica del braccio e l'impegno della mente. Leonardo Emo diventa il coordinatore del luogo con le acque, dell'ambiente con la Villa, dell'architettura con la decorazione, ùper tutte le esigenze del lavoro dei campi e della conduzione del bestiame, e per i fini che rientrano in un progetto di rinnovo della realtà socio-economico, per un dialogo fruttuoso tra i diversi strati sociali fino ad allora in contrasto tra loro.
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